Il castello degli Schiavi è uno dei gioielli del barocco rurale siciliano del ‘700. La villa munita fu costruita tra il 1750 ed il 1756, mentre la loggia superiore tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800. Il palazzo fu dotato di raffinatissimi elementi decorativi da parte dell’architetto Paolo Amico Guarrera. Era il periodo in cui a Catania operarono, fra gli altri, grandi personaggi come Vaccarini e Ittar.
Il palazzo fu costruito da Don Girolamo Pavone nella tenuta San Giovanni della quale aveva ottenuto la concessione enfiteutica nel 1756 dal Principe di Palagonia. Il Pavone era insignito del titolo di Magnifico ed inoltre si fregiava della cittadinanza di Messina per aver contribuito alla lotta alla peste del 1743 portando una nave carica di angurie per dissetare i cittadini che non potevano utilizzare le cisterne infettate dalla malattia. Ebbe una figlia illegittima da Santa Voce, discendente da un’antica famiglia che aveva governato per conto dei principi di Palagonia la città di Belvedere (l’attuale Piedimonte Etneo).
Giuseppina, unica sua figlia, fu riconosciuta da Don Girolamo all’età di 12 anni e nel 1761 sposò, con la ingente dote di 5000 scudi, un erede della prestigiosa famiglia Carpinato di Acireale. Poi, intrecci matrimoniali e vicende d’ordinaria successione, riportarono questa proprietà alla Famiglia Platania dei baroni di Santa Lucia, quegli stessi baroni che nel 1628 avevano ricevuto il feudo in dote portato da Giulia Gravina-Crujllas.
E proprio alla Famiglia Crujllas è legata la dizione ‘degli Schiavi’. Sembra che più che alla leggenda dei mori la famosa dizione sia da attribuire alla corruzione del toponimo che definiva questo luogo, ovvero ‘scavo Crujllas’, nome utilizzato fino al ‘500. Esisteva infatti una grande cava di pietra lavica nel fondo dei signori Crujllas, che a Calatabiano possedevano anche il grande castello in cima alla collina della Terravecchia. Secondo la corretta dizione popolare siciliana il palazzo è stato definito sempre, per la precisione, ‘casteddu di scavi’.